RECENSIONI: Alejandro Jodorowsky, Jean-François Vèzina, James Hillman

La risposta è la domanda

di Alejandro Jodorowsky

                      

Uno Jodorowsky stranamente non sopra le righe ci presenta una raccolta di raccontini, storielle e aneddoti provenient da diverse tradizioni spirituali e culturali: persiane, sufi, indù, zen, ebraiche, cinesi, buddhiste, taoiste.

In toni insolitamente contenuti i suoi sobri commenti e le interpretazioni che ci offre –senza le quali più spesso che no la navicella della nostra mente non condurrebbe in porto il succo dei racconti in questione – ci fanno intravedere un autore ormai arresosi all’evidenza della saggezza, senza però che abbia perso la sua capacità di cogliere in pieno il bersaglio, come suo solito senza inutili giri di parole e cerimoniose circonlocuzioni.

Le innumerevoli lezioni contenute in queste 92 storielle, lungi dal costituire gli ingredienti di un improbabile minestrone di dubbia digeribilità, presentano la costante di sparare a zero sulle abitudini, sulle forme mentali,  sugli atteggiamenti convenzionali e sui condizionamenti autoimposti che impediscono l’apertura degli occhi su di una realtà che affiora omogenea, denudandosi dai paramenti culturali imposti dalle differenti tradizioni, e rivelandosi l’unico cuore pulsante sotto il camuffamento di molti corpi: il riconoscimento della divinità interiore.

“Quando percepiamo in noi un nuovo livello, più elevato, dobbiamo perdere noi stessi per raggiungerlo. Se, mentre cerchiamo di accedervi, rimaniamo legati a quello che siamo, entriamo in una crisi profonda. Allora non si tratta più di rinascita, ma di perdita di conoscenza e crisi.”

 

 

La necessità del caso

di Jean-François Vèzina

 

Ancora il tema della sincronicità, però affrontato in maniera piuttosto originale, cioè dal punto di vista degli strani “incontri” che costellano la nostra vita e ci mettono a confronto con situazioni che spesso non riusciamo a catalogare, per la loro evidente appartenenza a un livello di strutturazione estranea a quelli che sono i parametri abituali della ragione, del buonsenso, della premeditazione; in una parola, del determinismo di cui siamo – per abitudine tramandata dall’ufficialità culturale – adepti (o forse la parola è: “assuefatti”?) senza riserve, come unica fonte riconoscibile da cui scaturisce la realtà.

L’autore, psicologo canadese, ci dimostra che, elevandosi un tantino da questa prospettiva frustrante, è possibile riconoscere nel cosiddetto “caso”  l’impronta dell’incontro fra la nostra psiche, i nostri sconosciuti e latenti “poteri” di attrazione di una determinata realtà in un determinato momento, e quelle forze che vanno al di là, semplicemente, di qualsiasi comprensione e che si possono attribuire a una misteriosa quanto misericordiosa propensione cosmica ad assisterci nel raggiungimento dell’obiettivo dell’individuazione del sè.

L’interazione fra queste due polarità (noi e l’universo) partorisce, in alcuni momenti topici della nostra vita, questi incontri che mai si potrebbero verificare secondo una lettura della vita impostata sulla logica, sulla linearità, sulla consequenzialità.

“Noi prendiamo coscienza di evolvere in un sistema più grande di noi quando si verifica una coincidenza sbalorditiva che sembra far eco a un ordine di senso che ci trascende e che tenta di riorganizzare la nostra vita seguendo corridoi misteriosi”.  

 

 

 

Il codice dell’anima

di James Hillman

 

Lo psicologo americano con propensioni mistiche ci conduce – con altalenanti risultati in quanto alla scorrevolezza del testo e alla digeribilità dell’argomento- in uno studio appassionato dell’impronta particolare dell’anima, alla luce soprattutto di quella che lui definisce la “teoria della ghianda”; secondo la quale ciascuno di noi possiede, in nuce, tutte le qualità e le caratteristiche per dispiegare – a livello potenziale – le capacità di realizzare quel tracciato che ci appartiene e che è solo ed unicamente nostro.

Per chiarire il tutto Hillman chiama in causa, fra l’ altro, l’antico concetto socratico del “daimon”, presenza che ci accompagna fin dalla nascita se non prima e che corrisponde nient’altro che al maestro interiore di altri livelli di linguaggio.

A tratti irresistibilmente affascinante e concettualmente potente, il libro scivola a volte in ripieghi di ordine piuttosto inconsulto, presentando così una lettura che si dibatte fra alti voli dell’anima e piatte distese di quasi-banalità e di noia sconcertante, soprattutto quando l’autore si lascia prendere la mano dell’intellettualità e affoga la prosa in elaborate evoluzioni verbali che rivestono, a mio parere, un’impotenza espressiva camuffata da incomprensibile ad arida concettualità di livello astratto.

Direi però che l’idea alla base di questo trattatello è di vasta portata e ci si può facilmente riconoscere in essa, imparando ad amare un po’ di più e un po’ meglio questa sconosciuta e meravigliosa compagna, l’anima.

“Ciascuna vita è formata dalla propria immagine, unica e irripetibile, un’immagine che è l’essenza di quella vita e che la chiama ad un destino”    

 

  A cura di Simone Sutra – itdavol@tin.it

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